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Ci risiamo! Ancora una volta l’Ordine degli psicologi, non sapendo più che pesci pigliare, torna ad agitare lo spauracchio della salute pubblica e dei danni incommensurabili cui un povero cittadino potrebbe andare incontro nel rivolgersi ad un counselor.
Il 14 ottobre è apparso su quotidianosanita.it un articolo dal titolo Psicologi. L'allarme del Consiglio nazionale: “Rischio per la salute affidarsi agli abusivi” che contiene un grido d’allarme del CNOP (Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi) sui possibili rischi per la salute cui il cittadino sarebbe esposto nel rivolgersi ad un non-psicologo.
Il 24 ottobre, in risposta a detto articolo, è uscito un comunicato congiunto a firma del CoLAP e di nove associazioni di counseling (AICo, ANCoRe, AProCo, AssoCounseling, CNCP, FAIP Counseling, Federcounseling, ReICo, SICOOl) teso a sottolineare la gravità di quanto espresso dal CNOP e da alcuni suoi componenti.
Facciamo però un passo indietro: sono molti anni che l’Ordine degli psicologi tenta ogni strada per arginare il fenomeno delle così dette nuove professioni che, a detta loro, si occuperebbero di attività di esclusiva pertinenza degli psicologi.
La prima strada, battuta ancora oggi, è quella dell’esposto in Procura per esercizio abusivo della professione (art. 348 c.p.). Spesso con leggerezza e senza possedere sufficienti informazioni – come peraltro stigmatizzato dal Giudice nelle motivazioni della sentenza 619/2010 del Tribunale di Lucca – si segnala in Procura un professionista non psicologo per presunto esercizio abusivo della professione. Tale strada non ha mai fruttato, all’Ordine, i risultati sperati. Ad oggi infatti, le uniche due sentenze esistenti sull’argomento passate in giudicato hanno visto l’assoluzione piena degli imputati. Ma l’Ordine non demorde e prosegue nella sua opera di strenua difesa del più bieco corporativismo a colpi di segnalazioni, guardandosi bene dal denunciare direttamente, così da non rischiare di prendersi, una volta sconfitto in Tribunale, una querela per diffamazione. Naturalmente tutte le spese sono a carico degli 85.000 psicologi italiani, i quali evidentemente sono ben contenti che i propri soldi vengano spesi in questo modo.
La seconda strada, ormai abbandonata, è stata quella di tentare di modificare in Parlamento la 56/89 (la Legge di Ordinamento della professione di psicologo), trovando un escamotage per inserire il counseling tra le riserve degli psicologi. Tale strada non ha dato alcun esito (i nostri parlamentari saranno come saranno, ma non fessi fino a questo punto).
Una terza strada, tuttora in fase di sperimentazione, è la modifica dell’articolo 21 del codice deontologico degli psicologi, modifica che ha inasprito la sua precedente versione:
L’insegnamento dell’uso di strumenti e tecniche conoscitive e di intervento riservati alla professione di psicologo a persone estranee alla professione stessa costituisce violazione deontologica grave. Costituisce aggravante avallare con la propria opera professionale attività ingannevoli o abusive concorrendo all’attribuzione di qualifiche, attestati o inducendo a ritenersi autorizzati all’esercizio di attività caratteristiche dello psicologo. Sono specifici della professione di psicologo tutti gli strumenti e le tecniche conoscitive e di intervento relative a processi psichici (relazionali, emotivi, cognitivi, comportamentali) basati sull’applicazione di principi, conoscenze, modelli o costrutti psicologici. È fatto salvo l’insegnamento di tali strumenti e tecniche agli studenti dei corsi di studio universitari in psicologia e ai tirocinanti. E’ altresì fatto salvo l’insegnamento di conoscenze psicologiche.
L’Ordine vorrebbe che, in sostanza, gli psicologi non si prestassero a contribuire alla formazione di una categoria a loro modo di vedere abusiva (a loro modo di vedere) e, minacciando procedimenti disciplinari, tentano di dissuadere i propri iscritti dall’insegnare all’interno delle scuole di counseling. Allo stato attuale, l’unico risultato prodotto da questa idea geniale, è stato far perdere un po’ di lavoro a quei pochi psicologi che, impauriti dall’altisonante carta intestata dei propri Ordini regionali, hanno rimesso le proprie collaborazioni con le scuole di formazione in counseling.
Una quarta strada sembra invece mutuata dalla celeberrima tecnica della confusione di Milton Erickson: la suggestione passa più facilmente attraverso la confusione, poiché l’ascoltatore (nel nostro caso il lettore) è maggiormente predisposto a focalizzare, nel bailamme delle varie cose dette, la prima cosa sensata che trova. Dunque si getta nel mucchio il counselor con l’armonizzatore (che nemmeno io so chi sia, peraltro), il reflector con il pedagogista, il consulente filosofico con lo psicoanalista, si tirano in ballo leggi non meglio specificate, improbabili riserve professionali non meglio definite, si citano sentenze che riguardano altri settori, si agita il tutto e alla fine si inserisce la suggestione che si intende far passare: solo lo psicologo ti salverà... gli altri sono tutti abusivi!
Una quinta strada, che potremmo definire la nuova frontiera del disperato tentativo di difendere l’indifendibile, è quella di tirare per la giacchetta il Ministero della Salute. Pare che al CNOP si siano ricordati che il proprio presidente è membro di diritto del Consiglio Superiore di Sanità, e dunque quale miglior strada da percorrere se non quella di voler far passare il counseling per un’attività sanitaria?
Ecco, l’articolo Psicologi. L’allarme del Consiglio nazionale: “Rischio per la salute affidarsi agli abusivi” appartiene proprio a quest’ultimo filone.
Sandra Vannoni, presidente dell’Ordine degli psicologi della Toscana, sostiene che “Varie figure non qualificate, utilizzando la recente legge sulle professioni non regolamentate, cercano di auto assegnarsi funzioni riservate per legge alla professione di psicologo”.
Ora, premesso che non può essere un Ordine professionale ad auto assegnarsi le riserve professionali, e premesso che l’Antitrust ritiene che le riserve, [...] se non adeguatamente limitate, rischiano di tradursi in un’indebita protezione per i professionisti titolari, a danno dei consumatori [il grassetto è mio], ci farebbe davvero piacere sapere quali sono le riserve professionali degli psicologi. Naturalmente non perché l’Ordine le ritiene tali, ma perché supporta tali affermazioni con fonti normative e giurisprudenziali.
Sempre il presidente Vannoni sostiene che “[...] la consapevolezza di sé; le risorse emotive, relazionali o cognitive; il problem-solving; lo stress; l'autostima, l'autoefficacia e l'assertività; la crescita emotiva o relazionale personale; la resilienza [...]” siano di esclusiva competenza dello psicologo.
Sono questi tutti argomenti ben conosciuti dai counselor, dai formatori, dagli educatori, dai pedagogisti, dagli insegnanti, dai preti e da tanti altri professionisti (compresi gli psicologi, ovviamente). Sono questi argomenti che trasversalmente vengono insegnati nelle varie facoltà (compresa quella di psicologia, ovviamente), nei master e nei corsi di specializzazione non riservati a psicologi.
A proposito del mondo accademico, apro una piccola parentesi: quando l’Ordine degli psicologi della Toscana ha tentato, nel 2006, di far annullare un Decreto Rettorale dell’Università degli Studi di Fienze che istituiva un corso di perfezionamento post lauream in psicoterapia non riservandolo però solo a psicologi, ma anche a medici, educatori e logopedisti, il TAR ha rigettato il ricorso con le seguenti motivazioni: “Tanto i singoli professionisti quanto l’Ordine non hanno titolo né interesse giuridicamente protetto ad opporsi a che le conoscenze siano acquisite da una sfera più ampia di soggetti” (Sentenza n. 875 del 9 maggio 2007, TAR Toscana, I sezione) [il grassetto è mio].
Volendo rispolverare l’articolo 1 (definizione della professione) della Legge 56/89, possiamo leggere che:
La professione di psicologo comprende l'uso degli strumenti conoscitivi e di intervento per la prevenzione, la diagnosi, le attività di abilitazione-riabilitazione e di sostegno in ambito psicologico rivolte alla persona, al gruppo, agli organismi sociali e alle comunità. Comprende altresì le attività di sperimentazione, ricerca e didattica in tale ambito.
Come si può chiaramente evincere, nulla di tutto ciò che il presidente Vannoni cita è presente nella Legge. E non è certo un caso se dal 1989 ad oggi l’Ordine degli psicologi non ha mai affrontato questo tema, eccezion fatta che per il timido documento pubblicato alcuni giorni or sono dal CNOP con il titolo Promozione e prevenzione in ambito psicologico da cui l’articolo di Quotidiano Sanità prende spunto.
Peraltro forse non tutti sanno che nei DDL preparatori alla stesura della 56/89, fino al penultimo presentato prima dell’approvazione della Legge Ossicini, esisteva un articolo che, più o meno, recitava: “L’attività psicologica può essere esercitata solo dagli psicologi”. Tale articolo è stato poi eliminato ed infatti non è presente nell’attuale testo. E sapete perché? Evidentemente per impedire un monopolio, e questo è il segno inequivocabile del fatto che il legislatore non voleva concedere alla categoria degli psicologi riserve di Legge eccessive.
Sempre il presidente Vannoni ci parla di tecniche o approcci di intervento di derivazione psicologica. Ma la psicologia, in quanto scienza pre-paradigmatica, consta al suo interno di decine e decine di modelli e scuole di pensiero. Molti dei modelli, degli approcci e dei paradigmi della psicologia non sono certo stati teorizzati da psicologi, anzi: quelli di derivazione puramente psicologica, per così dire, sono ben pochi.
Anche in questo caso, che cosa dovremmo dire? Forse che il filone umanistico della psicologia, che tanto ha attinto dall’esistenzialismo europeo, ha scippato i filosofi delle tecniche o degli approcci di derivazione filosofica e che dunque i filosofi farebbero bene a denunciare gli psicologi?
E vogliamo ricordare il debito immenso contratto dalla psicologia nei confronti della pedagogia, dell’antropologia, della sociologia e della fisiologia?
Né l’Ordine degli psicologi né una categoria professionale nella sua interezza può ritenere che tutto ciò che ricade in odore di psi-qualcosa possa essere riconducibile all’esercizio della professione di psicologo così come regolamentato dalla Legge.
L’Ordine degli psicologi ormai rappresenta il vecchio, così come vecchia è la mentalità di chi in questo momento ha la responsabilità di rappresentare la categoria degli psicologi.
La Legge 4 del 2013, avversata in ogni modo dal CNOP prima e minimizzata dallo stesso CNOP poi (ignora e minimizza ciò che non sei stato in grado di arginare), pone dei capi saldi strategici per l’evoluzione delle professioni di oggi e di domani. È il paradigma generale di riferimento che è diverso: riserve di Legge, corporativismo, pretesa di diritti e monopoli da una parte, competenza, formazione, etica e innovazione dall’altra.
Le nuove professioni in Italia, ovvero quelle prive di un Ordine e/o un Collegio professionale, sono formate da oltre 3 milioni di professionisti che, più o meno dal 1995, attendono una regolamentazione: tributaristi, fiscalisti, fotografi, interpreti, traduttori, bibliotecari, pedagogisti, counselor, visuristi, grafologi, consulenti coniugali, musicoterapeuti.
Già molto è stato fatto con l’approvazione della Legge 4, ma ancora c’è molto da fare in tema di regolamentazione associativa.
I dati emersi da più indagini (CNEL, ISTAT, CENSIS, CoLAP) confermano il ruolo determinante dei così detti professionisti non regolamentati nella crescita e nello sviluppo del paese: questi professionisti, attualmente organizzati in associazioni professionali, producono il 4% del PIL e rappresentano il 14% della forza lavoro del paese. Essi rappresentano senza ombra di dubbio un’opportunità unica per rilanciare l’occupazione in Italia, in particolare per i giovani, le donne e gli over 50.
La Legge 4, infatti, lungi dal voler favorire l’abusivismo – come paventato dal CNOP in un ormai tristemente noto comunicato che paragonava l’approvazione della Legge 4 all’11 settembre (sic!) – recepisce solamente una delle tante richieste che insistentemente e da molti anni l’Europa fa all’Italia, ovvero quella di favorire un mercato (non solo interno) delle professioni libero e competitivo, ritenendo che questi siano i presupposti per garantire all’utenza prestazioni di qualità. Ovvero una posizione diametralmente opposta a quella dell’Ordine degli psicologi e, a dire il vero, di tutti gli ordini professionali italiani.
Futuro è la parola chiave di questo nuovo e variegato universo professionale, il quale giornalmente si confronta con un mercato in assenza di qualunque tipo di tutela, a differenza dei così detti professionisti ordinati che, protetti da leggi anacronistiche e corporative, continuano a dettare le regole al mercato impedendone l’evoluzione.
Purtroppo fino ad oggi il Parlamento è stato bloccato da compagini compatte e trasversali dei rappresentanti delle professioni regolamentate, tutte riunite sotto la sigla CUP (Comitato Unitario Permanente degli Ordini e Collegi Professionali) che da quasi un ventennio bloccano qualunque ragionevole riforma del sistema italiano, sistema che poggia le sue radici su Leggi risalenti al ventennio fascista e che produce a più riprese rigurgiti corporativi in ogni settore.
E finiamola di agitare lo spauracchio della salute pubblica per difendere i propri piccoli privilegi!
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titolo: I counselor attentano alla salute pubblica?
autore/curatore: Tommaso Valleri
argomento: Politica professionale
fonte: AssoCounseling
data di pubblicazione: 30/10/2013
keywords: cnop, salute, counseling, esercizio abusivo, legge 4/2013, atti tipici
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